Mara Capirci, classe ’92, si forma presso l’Accademia Nazionale di Danza, prima come danzatrice contemporanea e poi come insegnante di discipline coreutiche conseguendo un master nel medesimo ambito. Il lavoro di Mara è fatto di continua ricerca di un nuovo linguaggio della danza e di sperimentazione volti ad abbattere i confini che dividono natura e cultura, utilizzando la performance come tecnica  comunicativa, esibendosi in spettacoli che vanno oltre la danza che siamo abituati a conoscere e vedere usualmente. Mara ci sottolinea l’importanza di essere presenti con sé stessi, attraverso la danza e con il mondo che ci circonda, un lavoro sulla consapevolezza del corpo sulla conoscenza dei propri limiti e l’accettazione di quello che il corpo ci dà. Abbiamo curiosato in questo mondo, per molti quasi sconosciuto ma tanto interessante e complesso, chiedendo a Mara qualcosa di più sul suo lavoro, sul suo intervento artistico sul territorio tramite spettacoli che per modalità e linguaggio si avvicinano al mondo del teatro e dell’arte in un mix che speriamo di vedere più spesso nelle nostre città.

Ciao Mara, potresti dirci cosa vuol dire per te essere autrice della danza?

Partiamo dal presupposto che danzator* e danzatrici contemporanee non sono solo “esecutor*” o “esecutrici” della danza. A noi viene richiesto di essere propositivi verso il lavoro di un coreografo e verso il suo processo creativo. Nella stragrande maggioranza dei casi, le performance o gli spettacoli partono da dei tasks di improvvisazione che assegna il o la coreografa, questi vengono lavorati da noi sotto la sua guida. Il materiale che ne viene fuori viene poi utilizzato dal o dalla coreografa per la creazione dello spettacolo. Diventare danzatore o danzatrice contemporanea comporta già essere in qualche maniera autore o autrice del proprio “materiale umano, tecnico, artistico”. Nello specifico, essere danzautor* o danzautrici (termine utilizzato per descrivere la nostra figura), vuol dire ricercare e sviluppare un proprio metodo e un proprio linguaggio, dopo aver maturato una certa consapevolezza artistica.

Come si inserisce il metodo della performance nel tuo lavoro?

Non basterebbe un foglio intero per rispondere a questa domanda, ma provo ad essere il più possibile sintetica. In quanto danzautrice mi muovo sulla ricerca e sulla sperimentazione di nuovi linguaggi performativi; il fatto che le mie performance abbiano una predominanza danzante, le si definisce come “danza”, ma nel campo della ricerca, la forma della “messinscena dello spettacolo” propriamente detto, è ormai superata da tanto. Il metodo della performance in realtà è il processo creativo del mio lavoro. Ovviamente esso muta e si plasma sulla base di cosa voglio portare in scena.

In che modo danza recitazione e musica interagiscono nel tuo lavoro?

Lavorando nell’ambito della performance contemporanea, tendo a non vedere separatamente queste tre arti, vengono piuttosto intersecate e lavorate all’interno dello stesso processo creativo. Ad esempio il corpo fermo in scena di per sé già comunica e lo spazio performativo rende questa comunicazione in qualche modo “recitata”, allo stesso modo succede se si usa la voce in scena, poi il modo in cui utilizzi lo spazio o lavori sul “materiale fisico” diventa danza.

Come nasce l’idea di affrontare il tema natura/cultura?

Credo che possiamo essere tutt* d’accordo sul fatto che l’arte contemporanea non sia remunerativa in Italia, o almeno non da subito e si emerge con moltissima fatica. Nella danza questa cosa è ancora più sentita, perché a differenza delle arti visive, all’italiano medio, mancano circa  40/50 anni di cultura della danza; è molto più frequente che si conosca Marcel Duchamp che non Merce Cunningham, eppure oltre ad essere storicamente quasi  contemporanei, hanno molte cose in comune dal punto di vista artistico. Questo come si spiega? Lascio a voi la risposta. Per sanare questa lacuna, credo sia utile indagare questo campo di ricerca. Bisogna permettere a chiunque di poter godere dell’esperienza estetica di una performance; l’artista è a servizio dell’arte e non viceversa. È compito dell’artista rivolgersi ad un vasto pubblico per tornare a quello che era il ruolo socio-culturale della danza. Inoltre ho trovato dei colleghi,  Michael Incarbone e Erica Bravini, che condividono questa idea e con i quali ho lavori in coautorialità molto preziosi per me; più di tutto il rapporto con loro è la cosa che mi aiuta a sopravvivere nel mondo del circuito della danza italiano. L’aspetto umano dell’ambiente che mi circonda è per me l’essenza e il nutrimento del mio lavoro.

Come riesci a coinvolgere gli spettatori?

Come ho già detto, cerco di diminuire il più possibile l’opposizione natura/cultura e lo faccio ricercando la verità del gesto scenico e sviscerando la tematica che tratto in quella determinata performance. Tutto il resto lo fa la magia del corpo… ognuno di noi, in diversa forma o abilità, ne è dotato, basta solo trovare la giusta vibrazione con la quale entrare in risonanza, basta solo vivere quel momento e saper osservare, affinché queste vibrazioni possano pervaderci e far accadere la magia.

Foto: Sandro Maggi

Quali effetti ha il tuo lavoro sul territorio?

In questo territorio ho avuto la possibilità di lavorare poco con la performance, ma ho praticato tanto l’insegnamento della tecnica della danza e ho potuto guidare le persone in vari laboratori di movimento rivolti a Non-danzatori. Ciò che ho potuto constatare è che quando ritrovano la connessione con il corpo riscoprono una sensibilità e una voglia di giocare che sembra abbiano perso ma che freme dalla voglia di tornare a galla. Anche il loro modo di osservare il mondo cambia. Io credo che aspiriamo troppo a ciò che non abbiamo e giochiamo troppo poco con ciò che abbiamo. È uno spreco! Attenzionare quello che ci sembra ovvio ci permette di rivoluzionare la nostra vita, se è ciò che vogliamo. Capire che si può giocare con il corpo ci proietta allo stesso modo nel nostro quotidiano e apre una strada attraverso la quale possiamo raggiungere qualsiasi cosa.

Quale sarà la prossima tappa del tuo percorso artistico-lavorativo?

Ho deciso di aprire a Cassino un centro di Pilates e Movimento Creativo (Spazio Om) per poter riversare la mia formazione artistica nell’esperienza del Pilates (per gli adulti) e del Movimento Creativo (nei bambini). Vorrei che tutti avessero questa possibilità, soprattutto le donne e le bambine, che sono più spesso costrette in binari che la società ci “consiglia” di seguire. Vorrei far conquistare loro la consapevolezza e la forza di cui dispongono per non aver paura di sentirsi al di fuori di questi binari. Questo ci permette non solo di essere meno giudicanti verso noi stesse, ma soprattutto verso il prossim*. Attraverso il Movimento Creativo vorrei che ogni bambin* riconoscesse la propria unicità e che sia soprattutto disposto ad accogliere quella altrui. Bisogna insegnare loro a non aver paura di ciò che è diverso da noi; la paura genera odio, l’odio genera la discriminazione e purtroppo a volte, anche la violenza.

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